I MESSAGGI WHATSAPP POSSONO ESSERE UNA PROVA?

I messaggi WhatsApp possono essere una prova, utile a testimoniare il contenuto di quanto dagli stessi riportato.


In caso di contestazione sull’autenticità del messaggio prodotto, la parte ha la facoltà di chiedere al giudice di poter disporre di una consulenza tecnica d’ufficio. In questo caso il giudice deve provvedere alla nomina di un perito al quale dovrà essere consegnato il dispositivo telefonico. Dopo un attento ed accurato esame dello smartphone il perito deve provvedere a riportare il testo da lui visionato su un documento cartaceo ufficiale, il quale viene trasformato in una vera e propria prova all’interno del processo.

La giurisprudenza è ormai concorde nel ritenere che le conversazioni fatte mediante l’utilizzo di cellulari o strumenti informatici costituiscono una vera e propria memorizzazione di fatto storico che equivale ad una prova documentale, da poter usare ai fini probatori all’interno di un processo penale.

A tal proposito, si rammenta che l’articolo 234 c.p.p. ricomprende ogni scritto o altro documento in grado di rappresentare fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo.

L’utilizzabilità della prova è condizionata dall’acquisizione del cellulare contenente il materiale incriminatorio e la trascrizione va a svolgere una funzione meramente riproduttiva del contenuto principale della prova documentale (v. Cass. pen. sez. II, n. 50986 del 06/10/2016 e Cass. pen. sez. V, n. 4287 del 29/09/2015).

Il cellulare deve essere consegnato agli inquirenti, in modo tale da poter effettuare tutte le verifiche. Senza la presenza del dispositivo che contiene i dati originali la trascrizione della copia fotografica o anche del materiale non ha nessun valore.