L’evoluzione costituzionale del divieto di apologia al Fascismo

Oggi 25 Aprile non possiamo ignorare la nostra storia: il Fascismo oggi

Apologia al fascismo: dalla legge Scelba, a quella Mancino fino al naufragio del disegno legge Fiano.

In concomitanza con il 25 Aprile, festa nazionale e anniversario della liberazione, la memoria torna al nostro passato, alla storia che non va dimenticata e che in ogni sua sfumatura, positiva o negativa, ha qualcosa da insegnarci e ci offre spunti su cui riflettere.

Liberazione dall’occupazione nazista e lotta al governo fascista.

Ma oggi cosa resta del Fascismo?

LEGGE SCELBA: In Italia l’apologia al Fascismo è stata vietata dalla Legge n. 645 del 1952 (c.d. legge Scelba), approvata ad attuazione della XII disposizione transitoria della Costituzione, che recita: “È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista”. Ad essere vietato è ogni comportamento volto all’esaltazione dell’ideologia fascista. La pena prevista è da cinque a dodici anni. Viene inoltre punito chiunque “pubblicamente esalti esponenti, princìpi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche“. All’art. 4 viene, infatti, esplicitamente vietata ogni forma di apologia al Fascismo con il  divieto di ogni forma di propaganda per la costituzione di associazioni, movimenti o gruppi per la riorganizzazione del partito fascista.

L’intervento della Corte Costituzionale: Nel 1956 fu adita la Corte costituzionale alla quale fu denunciata la presunta incostituzionalità della legge Scelba. Gli oppositori di quest’ultima sostenevano che tale legge andasse a violare i diritti costituzionalmente garantiti di libertà associativa (art. 18 Cost.) e di manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.) da parte di una fazione politica, i cui diritti fondamentali sarebbero così stati violati. Furono accusati di apologia al Fascismo diversi esponenti Movimento sociale italiano, tra i quali Morino Luciano, Belfiori Fausto e di Fois Giorgio, Ragazzini Francesco.

Sentenza della Corte Costituzionale: con sentenza n. 1 del 16 gennaio 1957, la Consulta si soffermò sull’art. 4 della Legge Scelba ( “Apologia al Fascismo”) e colse l’occasione per definire meglio i confini di tale reato, sancendo che  l’apologia si realizza non semplicemente attraverso una “difesa elogiativa” del Fascismo, ma attraverso una “esaltazione tale da potere condurre alla riorganizzazione del partito fascista”, cioè in una “istigazione indiretta a commettere un fatto rivolto alla riorganizzazione”. Sulla base di tale motivazione i giudici della Consulta dichiararono infondata la questione di legittimità costituzionale relativa all’art. 4 della legge Scelba, con esclusione di qualsivoglia lesione dei diritti costituzionalmente garantiti.

Seconda sentenza della Consulta: Nel dicembre del 1958 la Corte Costituzionale venne chiamata nuovamente in causa, questa volta a giudicare sulla legittimità costituzionale dell’art. articolo 5 della legge Scelba ( divieto di manifestazioni fasciste), ritenuta da alcuni lesivo della libertà costituzionale di riunirsi e manifestare. La Corte intervenne con una seconda sentenza, in linea quella del 1957, nella quale stabilì che le manifestazioni erano vietate, ma solo nel caso in cui fossero propedeutiche alla ricostruzione del partito fascista.

LEGGE MANCINO: con la legge  n. 205 del 25 giugno 1993 (c.d. Legge Mancino) recante misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa, avremo un ulteriore intervento a completamento di quanto iniziato con la legge Scelba. Viene prevista la pena della reclusione fino a tre anni per la propaganda o per chi “incita a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi“; e da sei mesi a quattro anni per chi “incita a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi“.

DISEGNO DI LEGGE FIANO: risale al 2017 la proposta di legge sull’apologia al Fascismo del deputato del Pd Emanuele Fiano.

Cosa prevedeva? La legge prevedeva l’introduzione nel codice penale di un nuovo articolo, il 293-bis, che puniva “chiunque propaganda le immagini o i contenuti propri del partito fascista o del partito nazionalsocialista tedesco”, con la pena della reclusione da sei mesi a due anni. Prevedendo, inoltre, il divieto di ogni forma di propaganda anche “attraverso la produzione, distribuzione, diffusione o vendita di beni raffiguranti persone, immagini o simboli a essi chiaramente riferiti, ovvero ne richiama pubblicamente la simbologia o la gestualità”. Era, altresì, previsto un incremento fino ad un terzo della pena nel caso in cui il reato fosse stato perpetrato con l’ausilio di mezzi informatici e telematici. In altri termini, l’approvazione della legge avrebbe sortito l’effetto di vietare la possibilità di fare il saluto romano, di vendere oggetti raffiguranti Adolf Hitler o Benito Mussolini, o slogan e simboli chiaramente riferibili ai due dittatori o ai loro regimi.

La Camera dei deputati aveva approvato la proposta ma lo scioglimento delle Camere nel dicembre 2017, e la conseguenziale fine della legislatura, ha messo fine alla discussione della legge in Senato.

Oggi: in Italia è ancora possibile esibire simboli fascisti e nazisti. In caso di denuncia, spetta ai giudici decidere caso per caso se applicare la legge Scelba, la legge Mancino o se l’episodio rientri sotto l’ombrello della tutela costituzionale offerta dall’ articolo 21, che sancisce la libertà d’espressione.

Un partito politico può anche definirsi neofascista, purchè dimostrare di non agire nell’intento di dare nuova vita al partito fascista e di non perseguire obiettivi antidemocratici. Questa la ragione alla base della legittimità di movimenti quali Forza Nuova e CasaPound, ai quali non è fatto alcun divieto di svolgere attività politica. Secondo i giudici, la legge Scelba non impone necessariamente lo scioglimento di un partito che dovesse usare il termine “fascismo” nel suo nome. Un esempio ne è il movimento “Fascismo e Libertà“, fondato nel 1991 da un senatore del MSI, sottoposto negli anni a numerosi procedimenti per la legge Scelba, ma mai conclusi con una condanna a carico dei suoi fondatori.

GERMANIA: In Germania la “Strafgesetzbuch section 86a” ( articolo 86, comma a del codice penale) proibisce l’utilizzo di simboli, gesti e slogan di organizzazioni politiche considerate “incostituzionali” (a meno che il loro uso non sia per finalità artistiche o educative).