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Niente risarcimento per il marito tradito e depresso. Irrilevante il fatto che l’infedeltà coniugale abbia comportato a carico della donna l’addebito della separazione.
Accertato in primo grado il comportamento della donna, che ha violato i doveri coniugali con conseguente inevitabile rottura del matrimonio, è stata dichiarata la separazione personale dei coniugi.
In secondo grado la Corte d’Appello di Salerno riconosce anche, contrariamente a quanto deciso in primo grado, l’addebito alla donna della separazione coniugale. Respinta, invece, la pretesa risarcitoria avanzata dall’uomo per un presunto danno morale. Su questo fronte i Giudici d’appello sostengono che «il marito non ha provato il danno ingiusto e il nesso causale con una condotta illecita della moglie, non riscontrabile nella sola infedeltà coniugale», e aggiungono poi che «la dedotta depressione di cui soffriva l’uomo» è «riferibile alla separazione in sé piuttosto che al tradimento».
Con il ricorso in Cassazione l’ex marito denuncia violazione di legge, vizi motivazionali, travisamento delle prove e delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, in ordine all’esame relativo alla richiesta risarcimento del danno da illecito endofamiliare, frutto, a suo dire, della «violazione dei doveri coniugali da parte della moglie», violazione a cui egli riconnette anche lo stato depressivo sopportato «dopo l’allontanamento della moglie dalla casa familiare».
Tuttavia, anche la Suprema Corte respinge la pretesa del ricorrente, essendo diretta a sollecitare una rivisitazione di un apprezzamento di fatto incensurabilmente operato dai giudici di merito, il cui esito decisorio è applicazione di un principio di diritto secondo cui la natura giuridica del dovere di fedeltà derivante dal matrimonio implica che la sua violazione non sia sanzionata unicamente con le misure tipiche del diritto di famiglia, quale l’addebito della separazione, ma possa dar luogo al risarcimento dei danni non patrimoniali ex art. 2059 c.c., «sempre che [tuttavia] la condizione di afflizione indotta nel coniuge superi la soglia della tollerabilità e si traduca, per le sue modalità o per la gravità dello sconvolgimento che provoca, nella violazione di un diritto costituzionalmente protetto, quale, in ipotesi, quello alla salute o all’onore o alla dignità personale».
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