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IL CASO
Il ricorrente ha messo in atto per un anno e mezzo «un corteggiamento petulante, sgradito e molesto» nei confronti di una donna, dipendente di un bar e avvicinata spesso anche sul luogo di lavoro entrando ripetutamente con pretesti, senza consumare nulla, ma con il solo scopo di incontrarla e tentare approcci con lei, come anche per strada, in un’occasione inseguendola e salendo sul suo stesso autobus; nonché sostando sotto la casa della donna.
PRIMO GRADO
Per i Giudici di merito l’uomo si è reso colpevole del «reato di molestie». In primo grado la pena viene fissata in «tre mesi di arresto».
SECONDO GRADO
In secondo grado la condanna viene sospesa, condizionando però tale beneficio al «pagamento, entro sei mesi dal passaggio in giudicato, della somma di 4mila euro a titolo di risarcimento del danno» in favore della donna, costituitasi parte civile.
CASSAZIONE
Col ricorso in Cassazione contesta la sussistenza del reato di molestie, mancando «il dolo destinato ad abbracciare il fine specifico di disturbo dell’altrui tranquillità», e sostiene la tesi della «non particolare gravità della condotta, poco invadente e pericolosa», anche tenendo presente «l’assenza di pedinamenti, molestie telefoniche e appostamenti molesti».
Inoltre, ritiene anche «eccessiva la sanzione», sostenendo sia possibile applicare «la sola pena pecuniaria dell’ammenda in luogo di quella detentiva». E in questa ottica il ricorrente lamenta pure «la mancata prova del danno al cui risarcimento è condannato» e «l’eccessiva determinazione» della somma riconosciuta in favore di Tiziana.
In ultima battuta, infine, l’uomo contesta anche «l’ingiustificata subordinazione della sospensione condizionale della pena al risarcimento del danno». A questo proposito, egli spiega di avere «dimostrato in giudizio il proprio stato di disoccupazione, che oramai dura da otto anni», ma, aggiunge, «di tale condizione economica che rende impossibile l’adempimento della condizione apposta al beneficio non si è tenuto conto».
Tuttavia, secondo i Giudici della Cassazione “ la manifesta rappresentazione da parte della donna di non gradire tali atteggiamenti di corteggiamento petulante ed ossessivo» e «la perseveranza dell’uomo nel reiterare» il corteggiamento sgradito alla donna sono elementi sufficienti per catalogare i comportamenti dell’uomo come vere e proprie «molestie, pur in assenza di atteggiamenti aggressivi o in qualsiasi modo violenti».
Per fare chiarezza i magistrati fissano anche un principio: «configura il reato di molestie un corteggiamento ossessivo e petulante, volto ad instaurare un rapporto comunicativo e confidenziale con la vittima, manifestamente a ciò contraria, realizzato mediante una condotta di fastidiosa, pressante e diffusa reiterazione di sequenze di saluto e contatto, invasive dell’altrui sfera privata, con intromissione continua, effettiva e sgradita nella vita della persona offesa e lesione della sua sfera di libertà».
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